Parte 2
L’EREDITA’ DEL MADRIGALE INGLESE: DA JOHN DOWLAND A STING
John Dowland (1563-1626) incarna perfettamente lo spirito irrequieto del musicista girovago e dell’avventuriero della nuova era barocca. Mentre la letteratura inglese produce le straordinarie figure di William Shakespeare (1564-1616), John Donne (1572-1631) e, di lì a poco, quella di John Milton (1608-74), la musica si emancipa in terra d’Oltremanica soprattutto grazie alle Lachrimae di Dowland: “pavane appassionate” (danze nobili e cerimoniose in quattro tempi di origine italiana) per organo (harmonium), viola e liuto, composte tra la fine del Cinquecento e il 1604. L’Inghilterra, a quel punto, è già una grande potenza affrancata dagli altri grandi Paesi europei grazie ad Elisabetta I Tudor (1558-1603) ed è scossa da lotte religiose intestine che vedono prevalere il protestantesimo della Chiesa d’Inghilterra sulla Chiesa di Roma. La separazione definitiva sarà sancita da Enrico VIII, padre di Elisabetta.
John Dowland, forse d’origine irlandese ma di religione protestante, è un personaggio misterioso e, a detta di alcuni esperti, un tipo non troppo raccomandabile, e tuttavia uno degli artisti che hanno saputo rappresentare al meglio il clima dell’epoca tardo-rinascimentale e barocca anglosassone. Frustrato dalla mancata convocazione della regina Elisabetta come musicista di corte, Dowland vagabondò per il continente e, dopo aver frequentato le corti di Parigi in Francia – dove si fece cattolico – e di Brunswick e Kassel in Germania, si stabilì presso il re di Danimarca. Cacciato per intemperanze dai danesi, si diresse in Italia fino a raggiungere la corte pontificia, dalla quale, a quanto pare, venne a più riprese lusingato, ma senza successo. Spaventato da un giustificato timore nei confonti della regina e del suo primo ministro e capo della Sicurezza, Sir Robert Cecil, e forse accusato di spionaggio, Dowland si rifece protestante. In Italia conobbe Luca Marenzio e, a Firenze, venne avvicinato da un gruppo di cattolici inglesi che lo invitarono a lavorare per la corte papale. Come detto, forse per convenienza, a Parigi John si era convertito al cattolicesimo ma, più tardi, ebbe a ricredersi fino a dire che “il cattolicesimo non tende ad altro che a distruzione”. Come altri attori e musicisti del suo tempo, egli fu, in sostanza, libero di offrire il proprio talento alle corti che rivaleggiavano fra loro. Per l’artista, l’importanza del mecenatismo, o del cosiddetto “patronage” di stampo anglosassone, era fondamentale per sopravvivere. Lo strumento principe di John Dowland fu il liuto, e che il nostro J.D. fosse un virtuoso di quell’antico strumento a quindici corde dotato di una cassa armonica a forma di pera è testimoniato dal poeta suo contemporaneo Richard Barnfield. Fu quest’ultimo a scrivere che “il celeste tocco sul liuto (di Dowland) rapiva i sensi umani”. Caratteristica dei brani di Dowland è la “melanconia” (o “beautiful sadness”, bella tristezza, come dice Sting) di stampo tassesco (non per niente le raccolte di madrigali s’intitolano Lachrimae), assieme a una maestria nell’armonia e nel contrappunto che ribolle di passione. Pare che il motto in cui egli più si riconosceva, e che fu anche il titolo di una sua composizione, fosse: Semper Dowland semper Dolens. Fu così che, giocando con le assonanze anglo-latine, il “dolente Dowland” si creò una reputazione d’artista “maledetto” per il suo tempo o, quanto meno, si avvalse di una fama sia “sofferta”, sia “perversa” che, in epoca barocca (molto simile a quella odierna), non guastava affatto. Dowland doveva avere molto fascino, e ciò gli dava gloria e seguito. Come sostiene Sting, fu probabilmente la prima pop star inglese.
Sting, il celebre leader dei Police ed ecclettico musicista d’oggi, potrebbe assomigliare a una reincarnazione di John Dowland. Nel dvd The Journey Through the Labyrinth (virtuale completamento dell’album Songs From the Labirinth del 2006), ove egli reinterpreta le canzoni di Dowland assieme all’eccellente musicista di liuto Edin Karamazov, il rocker sostiene che niente è sprecato nella musica del menestrello anglo-irlandese, e che tutto è come “risparmiato”. Una caratteristica che suona molto inglese per le sue orecchie. “I brani di Dowland”, dice Sting, “sono dotati di una modernissima vena di malinconico erotismo. Per esempio, Flow My Tears (Lachrimae) è una canzone capace di trasmettere profonda malinconia, e tuttavia riesce anche ad elevare lo spirito”. “In generale”, spiega ancora la rock-star, “la musica di John Dowland era destinata a essere suonata in piccole stanze per intrattenere, far sognare e risollevare lo stato d’animo delle persone rinchiuse nelle corti durante le fredde notti invernali del nord Europa”. Al termine dell’intervista che compare sul dvd, Sting riassume bene i punti di contatto fra la musica antica e quella di oggi con una frase che mi pare significativa e che mi preme riportare in originale: The labyrinth is an interesting metaphor for our lives as musicians. To be drawn towards the centre of it: that’s where the mystery is. What’s music? It’s a journey (Il labirinto è un’interessante metafora delle nostre vite di musicisti. Essere attratti verso il suo centro: ecco il mistero! Che cos’è la musica se non un viaggio labirintico?).
L’epopea del menestrello anglo-irlandese del tardo Rinascimento rivive dunque grazie a una rock-star e, come era prevedibile, nel Cinquecento come oggi, i tempi del dubbio e dell’incertezza trovano nel labirinto il loro simbolo prediletto.
Leggi la Parte 1 | Leggi la Parte 3 |