Sono tanti quelli che decidono di esprimersi attraverso composizioni scritte o musicali, e stampano il loro libro o cd a testimonianza del loro vero Sé. Io sono uno di quelli, tra parentesi. Giorgio Gambini è un altro di quelli. Non lo trovate nei negozi, è una “persona comune” nel senso che non vive della sua arte. Fa l’insegnante, e questo lo ha reso “un tormentato cercatore di verità”, come dice lui. Ma è un artista a tutto tondo, a mio avviso, dal momento che artista = persona votata all’espressione di se stessa (mediante forme di comunicazione). Il Ruggito Del Maelstrom è una sua opera del 2006 che comprende un cd di musica con 19 brani e un libro di ben 400 pagine (e scritto piccolo).
Mi è capitato tra le mani poco tempo fa e solo l’altro giorno ho messo il cd in auto e l’ho ascoltato tutto. La stessa sera ho iniziato a leggere il libro, che è uno di quei libri che non si leggono d’un fiato come romanzi, ma che si sfogliano nel corso del tempo. Ma ce n’è abbastanza da indurmi a dedicare uno spazio a lui, come omaggio personale (premetto che non lo conosco assolutamente) e per portarlo all’attenzione di altri. Perché, in poche parole, se lo merita eccome.
Il Ruggito Del Maelstrom – ogni volta devo fermarmi a vedere se lo scrivo correttamente – è un concept album dedicato ad antiche civiltà, esplorazioni e mitologia, derivato da una personale ricerca storica e filosofica come ne ho viste poche… in verità nessuna. Tutto questo percorso di ricerca, anche spirituale, è snocciolato nel libro, in cui Giorgio spiega ogni brano arricchendone la comprensione a trecentosessanta gradi. Le radici dell’idea, e di quello che ha portato Giorgio alla sua arte, risalgono piuttosto chiaramente a un viaggio in Australia nel 1990 di cui costantemente si ritrovano tracce, siano foto (come la copertina) o citazioni, o esplicitamente brani che parlano della terra aborigena. Comprendo perfettamente l’influenza che i luoghi hanno sull’anima.
Non voglio ora entrare nei dettagli che l’autore stesso spiega nel libro, il cui capitolo introduttivo andrebbe riportato di pari passo anche per la chiarezza della scrittura. Il libro è un compendio che va a beneficio della parte musicale, al di là dei passaggi quasi didattici e delle fonti storiche riportate anche troppo in dettaglio. È una sorta di tesi di laurea magistrale. Il pregio che salta all’occhio immediatamente è la visione complessiva che ha animato l’autore, il quale in definitiva parla dei suoi “stimoli”, quelli a cui qualunque artista è sensibile, quelli che si sublimano e diventano parte (riconoscibile o no) della propria espressione. Giorgio passa senza esitazione dal commentare l’Armageddon a commentare un album di Sting, o a legarli assieme, continuando lo stesso, preciso discorso, che in fondo non è storico né artistico, ma universale e collettivo.
Questa è la prima peculiarità che mi ha schiaffeggiato sonoramente. D’altro canto uno può essere un bravissimo ricercatore e scrittore, e concepire un’idea favolosa e intimamente ricca, ma tradurla astutamente in termini musicali è un’altra faccenda. Va detto che Giorgio Gambini ha fatto innanzitutto la musica (questo non è il suo primo cd), e il libro ne è conseguito.
Musicalmente le cose si fanno più difficili e obiettive che sulla carta. Un cd di 19 brani costituisce più un’antologia della vasta produzione di anni piuttosto che un “album”, che per essere efficace si assesterebbe sulle 10-12 canzoni. Alcuni brani sono ripetuti con testo in lingua inglese, e ci sono tre cover che fungono da intermezzi. La struttura del disco non è però lasciata al caso, è pensata per essere circolare in attinenza al tema trattato del Maelstrom, che è un vortice mitologico (come viene spiegato nel libro).
Devo dire che, dal punto di vista musicale, non avrei fatto le stesse scelte che ha fatto Giorgio. Il disco si può classificare nel genere rock-pop italiano e la concezione degli arrangiamenti rientra nei canoni del genere. Questo è forse il lato meno riuscito, nella mia personale ottica, ma non voglio generalizzare. Di contro, mi ritrovo ad ammettere che può essere una scelta più che sensata: in questo disco porta la musica italiana a un livello superiore, per così dire “colto”. I testi, che scivolano dall’intimità all’universalità e il cui comune denominatore è la ricchezza di immagini geografiche, sono il tratto distintivo dell’opera. Spiccano sulla musica, e talvolta può far sorridere questo binomio con la base musicale, che non è portata a rappresentare musicalmente quelle atmosfere. Ma dopo un po’ di ascolti noto che l’insieme migliora, che è uno dei massimi pregi per un disco. Ci sono pezzi che colpiscono davvero e gli arpeggi di chitarra finiscono per restare impressi, e mi ritrovo già a canticchiare qualche ritornello. Questo disco potrebbe essere un primo stadio di un’evoluzione – con un po’ di sperimentazione in più – della musica italiana in una direzione molto interessante, che si rifà alle lezioni di Franco Battiato o del complesso Le Orme. Peccato che saremmo agli antipodi del business corrente fatta di imbrattacarte/imbrattacorde e talent show.
Linee melodiche semplici ma suggestive, con crescendo chitarristici e assoli, e alle volte una seconda voce femminile e cori, caratterizzano brani come “Armageddon”, “Gran Mare del Sud”, la pregevole title-track “Il Ruggito del Maelstrom”, “Stonehenge”, “Blue, Green, Red & Black”, “Atlantis”. Più lente la bella “Eldorado” e “Knight Of The Lost Holy Grail”. “Noche Triste” è una breve ma bellissima strumentale dal timbro spagnolo. Pregevoli anche “Uluru (Terra Australis)”, “George Reece” e la bizzarra (in francese) “Bonaparte et les Savants d’Egypte”.
Gli intermezzi cover, “Daylight Again” di Crosby Stills & Nash e due insolite versioni chitarristiche di “O Fortuna” (Carmina Burana) e “Morning Mood” (Peer Gynt).
Recentemente Giorgio ha prodotto un nuovo libro e un nuovo disco. Questo il suo sito, dove è possibile ascoltare alcune canzoni (e da dove ho tratto le immagini): www.giorgiogambini.it
di Matteo Barbieri