
Parte 3
IL MELODRAMMA DA MONTEVERDI A METASTASIO
Il melodramma (dal greco “melos”, musica, e dal francese “drame”, racconto drammatico) è un’opera teatrale in grado di fondere armonicamente musica, poesia e danza. Nacque verso la fine del Cinquecento, a Firenze, quando la “Camerata dei Bardi” cominciò a utilizzare una tecnica di recitazione accompagnata dalla musica. Claudio Monteverdi (1567-1643), da Cremona, fu il grande compositore italiano che segnò il passaggio definitivo dalla musica rinascimentale alla musica barocca. A lui toccò raccogliere e concludere tutte le esperienze operistiche dell’epoca. Partendo dai madrigali, Monteverdi mosse dalla polifonia per arrivare alla monodia, cioè al canto ad una sola voce accompagnato da una melodia musicale. Con il musicista cremonese, per la prima volta, la musica si riscattò completamente dalla sottomissione alle parole e diventò predominante sulle emozioni del pubblico. L’orchestra venne arricchita, l’armonia assunse una straordinaria risonanza espressiva e l’opera acquistò un suo preciso senso architettonico e costruttivo.
Proprio a questi anni si fa risalire il libretto d’opera (sebbene ancora in forma rudimentale), grazie al quale il pubblico poteva seguire i testi cantati e lasciarsi coinvolgere nella trama drammatica dell’opera teatrale. La prima rappresentazione importante del Monteverdi ebbe luogo presso la corte dei Gonzaga nel 1607 e fu la Favola di Orfeo, una delle prime opere liriche mai composte nello stile del “recitar cantando”. La celebre Toccata è forse uno dei suoi momenti musicali più memorabili. Nel 1608 fu la volta dell’Arianna, scritta per le nozze del principe Francesco Gonzaga su libretto di Ottavio Rinuccini. Di quest’ultima opera ci è rimasto il Lamento di Arianna: solo un frammento che, tuttavia, a giudizio del musicologo Massimo Mila, raggiunge vertici sublimi. Come sappiamo dal celebre mito, Arianna è la figlia del re di Creta Minosse e colei che fornisce a Teseo il filo per uscire dal labirinto di Cnosso. Secondo la leggenda, Arianna s’innamora di Teseo, ma poi viene abbandonata dall’uccisore del Minotauro su un’isola deserta. Il Lamento di Arianna di Monteverdi ha accenti di grande commozione e sa esprimere molto bene, fin dalle prime battute, il forte senso di dolore e rimpianto provato dalla sventurata eroina: “Lasciatemi morire, lasciatemi morire! E chi volete voi che mi conforte in così dura sorte, in così gran martire? Lasciatemi morire…”. Il vero e proprio capolavoro di Claudio Monteverdi appartiene, in ogni caso, al periodo successivo al suo servizio ai Gonzaga, dai quali, peraltro, egli si sentì spesso sottovalutato e incompreso (è un sentimento ricorrente per l’artista il non sentirsi abbastanza apprezzato e riconosciuto). Il musicista cremonese si trasferì a Venezia nel 1613 e nel 1638 compose il celebre Combattimento di Tancredi e Clorinda (compreso fra i magnifici Madrigali guerrieri et amorosi) sulle ottave del Tasso. Quest’ultimo è un dramma che riprende le vicende del canto XII della Gerusalemme liberata e narra del cavaliere cristiano Tancredi che si batte in duello con la guerriera musulmana Clorinda, la donna amata, e la uccide per errore. In punto di morte, Clorinda si converte e si fa battezzare. Il Combattimento di Tancredi e Clorinda è una pietra miliare della musica del XVII secolo sia per la sua straordinaria drammatizzazione monodica, sia per le innovazioni tecniche e orchestrali introdotte da Monteverdi: il tremolo degli archi e il pizzicato. Tali artifici verranno abbondantemente riutilizzati nelle opere dei grandi musicisti del melodramma del Settecento e dell’Ottocento.
Il melodramma italiano trovò il suo compimento col poeta Pietro Trapassi (1698-1782) detto Metastasio. Questi entrò a far parte dell’Accademia dell’Arcadia nel 1718, l’anno il cui moriva il suo maestro Vincenzo Gravina, arcade tutto volto all’antichità classica e cultore della greca semplicità in opposizione all’artificioso Seicento. L’Accademia dell’Arcadia si era infatti formata a Roma nel 1690 e si proponeva di ribellarsi al Barocco, stile considerato eccessivamente enfatico, allo scopo di riportare la poesia e la musica alla semplicità petrarchesca e al buon gusto. L’ideale dell’Arcadia era un mondo fatto di bellezze naturali incontaminate, di giardini, tempietti, palazzi e salotti, dove la grazia e la leggerezza delle forme classiche spesso scadevano nel lezioso. Metastasio rappresentò la transizione tra la nuova e la vecchia letteratura ma, soprattutto, il ritorno a un dramma – o meglio un melodramma – in cui la poesia riprendeva il sopravvento sulla musica. Quasi tutta la produzione del poeta è rivolta al teatro in musica. Metastasio scrisse canzonette, sonetti, odi e drammi (non amava chiamarli melodrammi) ricchi di musicalità che vennero messi in note da diversi compositori.
I drammi del Metastasio furono, in buona sostanza, poesia predisposta alla musica. Poesia o musica? verrebbe da chiedersi. Ebbene fu proprio questo drammatico “stare a metà” a conferire alle opere del Trapassi un enorme successo. Il suo modo di comporre era pieno di vita, spontaneità e semplicità. Forse l’esempio più tipico della sua produzione è la canzonetta del 1746 intitolata La partenza, dedicata a Nice, la donna amata. I versi sono immediati e facilmente cantabili; la struttura linguistica è semplice e, come in musica, prevede la ripetizione del ritornello: “E tu, chi sa se mai / ti sovverrai di me”. La cantabilità de La partenza era tale che venne musicata da diversi musicisti, tra cui anche Beethoven.
Il primo melodramma di Pietro Metastasio fu Didone abbandonata, del 1723, ispirato al libro IV dell’Eneide del poeta latino Virgilio (70-19 a. C.), suddiviso in tre atti e privo di un lieto fine. Come si sa, il personaggio di Didone, regina di Cartagine sedotta e abbandonata dall’eroe troiano Enea, è tragico, ma il Metastasio non riuscì ad evitare un tono troppo elegiaco e superficiale e – vista con gli occhi dello spettatore di oggi – la tragedia sembra quasi scadere nel ridicolo a causa dell’esagerata e grottesca passione attribuita a Didone. Sotto il manto reale, la nobile cartaginese assomiglia più alla Colombina del Goldoni che alla regina descritta da Virgilio.
Il mondo del Metastasio finì per essere l’auto-ritratto più vivido di una società falsamente eroica e avulsa dalla realtà, un po’ come quella che emerge dai quadri di Jean Antoine Watteau. Tale società stava per dissolversi per fare posto a un nuovo consorzio basato sulle idee illuministiche e dominato dalla classe borghese.
Quanto alla musica vera e propria, toccherà a Mozart portare il melodramma ai suoi livelli più elevati nel Settecento. L’opera mozartiana Don Giovanni (1787), su libretto di Lorenzo Da Ponte, è forse l’apice di tale genere musicale-recitativo nel secolo XVIII. Il grande melodramma e l’Opera italiana dell’Ottocento fanno poi parte di un’altra storia di cui ci occuperemo in una prossima occasione.
In rapporto ai nostri giorni, mi pare di riconoscere in un brano come Bohemian Rhapsody dei Queen (un capolavoro), l’esempio più lampante dell’eredità barocca, teatrale e un po’ kitsch del Seicento e del Settecento.